di Pasquale Di Santillo (Corriere dello Sport – Stadio 19 ottobre 2015)
Il viaggio del Team Spartans nel mondo del triathlon di lunga distanza era iniziato un anno fa con una sfida ambiziosa, portare un gruppo di debuttanti assoluti “dal divano alla finish line di un Ironman”. Una scommessa sostenuta dallo sponsor della squadra, UnipolSai, e vinta nella notte di domenica 4 ottobre a Barcellona, quando anche l’ultimo componente del gruppo è transitato sul traguardo sentendosi apostrofare l’agognato “you are an Ironman” che sancisce il diritto a definirsi “uomo di ferro”.
Il Team Spartans, basato a Bologna ma con iscritti in tutta Italia grazie a un modello di interazione fondato sui social network che l’ha portata dai 7 fondatori agli attuali 130 iscritti in meno di 2 anni, ha caparbiamente inseguito il sogno di dimostrare che è possibile per chiunque raggiungere un risultato “folle” come nuotare 3,8 km, pedalare per 180 km di bici e correre per 42 km senza avere alcuna esperienza nel triathlon. Unico requisito saper stare a galla in acqua, essere disposti a affrontare le intemperie per rispettare i programmi di allenamento e sfruttare qualsiasi ritaglio di tempo per incastrare gli allenamenti tra una riunione in ufficio e la spesa al sabato con la famiglia. E’ così che 8 adulti “normali” tra i 30 e i 50 anni si sono affidati al presidente Federico “Ironfrankie” Franchini (18 Ironman finiti compreso il mitico World Championship delle Hawaii) e al coach Matteo Torre per compiere un percorso di vero e proprio cambiamento, esteriore e interiore.
Persone normali, magari in sovrappeso e per i quali lo sport nella vita non rappresentava più che un diversivo confinato a un’oretta settimanale, che grazie a un approccio scientifico rigoroso (tutti monitorati con un sofisticato software usato anche dalle nazionali olimpiche di triathlon e dai professionisti della bicicletta) coniugato alla filosofia del “ognuno secondo le sue possibilità” senza ansie da cronometro e estremizzazioni in chiave agonistica, si sono trasformarti nell’atleta “totale” per eccellenza, capace di nuotare, pedalare e correre tra le 9 ore e mezza e le quasi 14 ore consecutive a seconda del livello di ognuno. Certo, prestazioni neanche lontanamente comparabili con i professionisti della specialità che veleggiano intorno alle 8 ore.
Pochi giorni fa alle Hawaii il tedesco Jan Frodeno si è laureato campione del mondo in 8 ore 14 minuti e 40 secondi al termine di una gara durissima per le condizioni meteo (caldo umido e vento) dopo aver fatto registrare il record del mondo a Francoforte in luglio con lo stratosferico 7 ore e 49. Anche il campione olimpico Alessandro Zanardi, ormai un habitué dell’Ironman, ha lasciato il suo segno nel week end di Kona, stampando una prestazione sotto le 10 ore (9h 47’ 14”). nonostante sulla sua handbike abbia soffiato un forte vento contrario che ha persino rischiato di farlo cadere.
In un triathlon di lunga distanza si consumano più o meno 7500 calorie, reintegrabili con 16 piatti di pasta al pomodoro o se preferite 14 pizze margherita o ancora 44 bistecche, ma la vera sfida è la dura preparazione che porta alla linea di partenza. Un impegno molto superiore alle 400 ore con periodi dell’anno in cui non ci si riposa neppure un giorno a settimana. Un “age group” (l’amatore) percorre in un anno una media di 200 km a nuoto, oltre 4000 in bicicletta e 1500 km di corsa, per un totale oltre 200 mila calorie bruciate.
Per gli aspiranti triatleti bolognesi tanti i chili tirati via dalla bilancia nel corso dei mesi di lavoro (fino a 20 per chi partiva nelle condizioni peggiori) mentre in maniera proporzionale saliva il benessere fisico e soprattutto una nuovo modo di vedere se stessi, di sentirsi a proprio agio con il proprio corpo e più sicuri con gli altri, sia nelle relazioni personali che sul lavoro. Lo sport di endurance usato dunque come laboratorio per provare che la salute si protegge con la prevenzione, partendo dal basso e facendo in modo che le persone scoprano il benessere che si prova a essere in perfetta efficienza fisica.
Una progetto, quello degli Spartans, con ricadute positive anche sociali, capace di mettere sullo stesso piano individui provenienti da ambienti diversi, con le più svariate esperienze, creare rapporti di amicizia tra quelli che inizialmente erano degli sconosciuti grazie alla necessità di affrontare tante difficoltà insieme, che si tratti di un’uscita di gruppo in bici o la logistica per le gare preparatorie, superabili e superate solo grazie al lavoro di gruppo. Sì perché anche se l’Ironman è sport individuale per eccellenza serve uno staff di specialisti che accompagnino gli atleti nel loro percorso e un gruppo coeso in cui confrontarsi, mettere a nudo le proprie paure e trovare il sostegno necessario a superare i momenti difficili, come quando bisogna affrontare allenamenti da 6 ore di bici e 3 ore di corsa.
Ancora non si sono esaurite le emozioni per il traguardo raggiunto, rispettivamente negli Ironman di Zurigo a luglio, Maiorca e Barcellona negli ultimi 15 giorni, che già gli Spartans stanno ideando nuove iniziative per coinvolgere sempre più persone nello sport: la replica del progetto “dal divano alla finish line Ironman” con nuovi aspiranti uomini di ferro, ma anche un progetto dedicato alle donne che le accompagni in un percorso protetto verso il primo triathlon (uscite di gruppo serali, allenamenti in bicicletta con supporto al seguito, anche corsi di difesa personale) e uno dedicato ai ragazzi delle scuole superiori, per diffondere la cultura sportiva abbattendo le barriere di ingresso così da sfruttarne i benefici “multidimensilionali” sul lungo periodo.
Una follia, potrà pensare qualcuno, o un sogno, per chi ci prova, che per essere capito ha bisogno innanzitutto di essere respirato. Andare a vedere una gara di questo tipo significa entrare in una dimensione cosmopolita dove regna lo spirito di fratellanza e solidarietà tra tutti i partecipanti “age group”, più impegnati a raggiungere il traguardo sulle proprie gambe piuttosto che a guardare il cronometro, che abbatte le barriere della lingua e delle nazionalità. Sempre più persone ogni anno decidono di prendere parte a una di queste gare, ce ne sono praticamente ogni week end in ogni angolo del globo, organizzate dai due principali circuiti: Ironman e Challenge, aziende internazionali dal fatturato miliardario, la prima appena passata di mano dalla americana WTC al colosso cinese Wanda per un valore di 650 milioni di dollari.
Anche personaggi più o meno famosi hanno cominciato a frequentare le zone cambio dell’Ironman, a iniziare da sportivi che normalmente utilizzano ben altri mezzi di propulsione, come Jenson Button e Tony Kanaan ma anche imprenditori come Gordon Ramsay e Joe Bastianich o il nostro astronauta Luca Parmitano. Una gara di triathlon “full distance” è infatti un banco di prova ideale per sperimentarsi in situazioni di alto stress, dove è necessario mantenere la concentrazione sull’obiettivo affrontando imprevisti e difficoltà di ogni tipo. Una perfetta simulazione delle sfide che ognuno di noi affronta ogni giorno, in famiglia e sul lavoro. Inevitabile l’interesse crescente da parte delle aziende operanti nel campo dello sport e non solo. Un business che fa gola a molti.